Intervista a Draghi: «Il governo ha fatto tanto, ora avanti senza dividerci. Giusto mandare armi all’Ucraina, la pace vale sacrifici»

di Luciano Fontana

Il premier al Corriere: «Ho provato a convincere Putin a fermarsi. Ora basta con la dipendenza energetica». E poi: «Dai partiti prova di unità. Non sono stanco. Il futuro? Non intendo candidarmi»

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Il presidente del Consiglio Mario Draghi, 74 anni

«In un momento pieno di incertezze, di potenziali instabilità, di fragilità interne ed esterne questo governo di unità nazionale continua a voler governare. Abbiamo fatto molto, e lo abbiamo fatto insieme. Dovremmo tutti avere la forza di dire agli italiani: guardate cosa avete realizzato in questi quattordici mesi. Penso alle vaccinazioni, alla crescita economica che abbiamo raggiunto nel 2021, al conseguimento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Merito dei cittadini, ma anche delle forze politiche».

È un Mario Draghi che non nasconde il momento drammatico, i compiti difficili che ha di fronte. Che non sfugge alla consapevolezza che spesso la guida del governo è un percorso a ostacoli in cui ogni pezzo della sua larga maggioranza pianta i suoi paletti. Ai suoi compagni di viaggio chiede di rivendicare quello che stanno facendo, di non farsi prendere dall’insicurezza, perché l’insicurezza genera instabilità.

Nella sua prima intervista da quando il 13 febbraio 2021 prese la guida di un governo d’emergenza su indicazione di Sergio Mattarella , il premier cerca di fare un bilancio e di indicare gli obiettivi dei prossimi mesi, fino al termine della legislatura. Perché il «governo va avanti» fino in fondo se riesce a fare le cose che servono al Paese. «In un’azione che tranquillizza l’Italia, che non crea ansia», è la frase che ripete spesso durante la conversazione. E la tranquillità, secondo Draghi, può arrivare da un bilancio in tre punti: «Stiamo superando la pandemia; sul fronte internazionale, l’Italia è tornata a pesare come è giusto che sia: sosteniamo l’Ucraina, lavoriamo per la pace; sul piano economico usciamo da un anno in cui abbiamo avuto una crescita del prodotto interno lordo del 6,6%. C’è ora un rallentamento, dovuto alla guerra . Il compito del governo è quello di sostenere lavoratori e imprese e rendere l’Italia più moderna, vivibile, giusta».

Il suo governo è nato per fronteggiare la pandemia. Vaccini e ripresa economica i due compiti su cui unire una larga maggioranza dalla Lega alla sinistra. Poi la guerra è tornata nel cuore dell’Europa. Si aspettava una scelta così dirompente da parte di Putin?
«Ho sperato fino all’ultimo che non lo facesse. Ci siamo telefonati con il presidente Putin prima dell’inizio della guerra: ci siamo lasciati con l’intesa che ci saremmo risentiti. Alcune settimane dopo però Putin ha lanciato l’offensiva. Ho provato fino alla fine a parlargli. Detto questo, l’invasione non mi ha sorpreso: quasi 200 mila uomini in pieno assetto da guerra erano stati portati al confine dell’Ucraina. C’erano inoltre i precedenti di quello che l’Unione Sovietica aveva fatto in Polonia, in Ungheria, in Cecoslovacchia. Ricordo che si parlava nella mia famiglia delle atrocità commesse a Budapest nel 1956. Finora l’obiettivo di Putin non è stato la ricerca della pace, ma il tentativo di annientare la resistenza ucraina, occupare il Paese e affidarlo a un governo amico. Noi resteremo accanto ai nostri amici ucraini: la riapertura della nostra ambasciata a Kiev è una buona notizia. Ieri ho sentito il nostro ambasciatore Zazo per felicitarmi direttamente con lui».

Il piano di Putin al momento non è andato in porto...
«Come tanti altri, all’inizio del conflitto ritenevo probabile una rapida vittoria dei russi, che avrebbe messo a rischio anche gli Stati vicini. Questo non è accaduto: la vittoria non è arrivata e non sappiamo se mai arriverà. La resistenza ucraina è eroica. Come dice il presidente Zelensky, il popolo è diventato l’esercito dell’Ucraina. Quello che ci aspetta è una guerra di resistenza, una violenza prolungata con distruzioni che continueranno. Non c’è alcun segnale che il popolo ucraino possa accettare l’occupazione russa».

Europa, Stati Uniti e Paesi occidentali sono sempre più impegnati nel sostegno a Kiev. Svezia e Finlandia chiedono di entrare rapidamente nella Nato. Non c’è il rischio di escalation?
«La linea di tutti gli alleati resta quella di evitare un coinvolgimento diretto dell’Europa nella guerra. Uno dei punti fermi di questo conflitto è l’affermazione da parte di tutti i leader della Nato, a cominciare dal presidente degli Stati Uniti Biden, che non vi sarà un coinvolgimento diretto dell’Alleanza. Comprendo le ragioni che spingono Svezia e Finlandia a pensare di entrare nella Nato ».

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Il premier Mario Draghi a Palazzo Chigi durante l’intervista con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana

Quanto è condizionato il governo dagli esponenti della maggioranza che tendono a giustificare Putin con l’allargamento della Nato e le colpe dell’Occidente nelle guerre passate?
«Non c’è stato alcun condizionamento. Tutte le decisioni cruciali sono state prese con vastissimo consenso parlamentare. Fin dal primo dibattito sulla guerra, alcuni parlamentari hanno cercato di rimproverare ad altri le antiche amicizie e mi è stato chiesto di dire cosa ne pensassi. Io ho replicato: questo non è il momento di rimproverarsi le simpatie e gli affari di un tempo. È il momento di stare tutti insieme. E continuo a ripeterlo. Tra l’altro, questo è un dibattito che appassiona soprattutto alcuni politici. Non mi sembra che tra la maggior parte dei cittadini ci sia ora voglia di fare processi al passato».

Alcuni nel Movimento 5 Stelle e molti italiani fanno fatica ad accettare il bisogno di armare l’Ucraina .
«La decisione di inviare le armi è stata presa quasi all’unanimità in Parlamento. I termini della questione sono chiari: da una parte c’è un popolo che è stato aggredito, dall’altra parte c’è un esercito aggressore. Qual è il modo migliore per aiutare il popolo aggredito? Le sanzioni sono essenziali per indebolire l’aggressore, ma non riescono a fermare le truppe nel breve periodo. Per farlo, bisogna aiutare direttamente gli ucraini, ed è quello che stiamo facendo. Non farlo equivarrebbe a dire loro: arrendetevi, accettate schiavitù e sottomissione — un messaggio contrario ai nostri valori europei di solidarietà. Invece vogliamo permettere agli ucraini di difendersi. Il tema delle armi è serio e non lo sottovaluto: coinvolge scelte etiche personali. La decisione non può dunque essere presa con leggerezza, ma i termini sono quelli che ho appena descritto».

Il presidente americano Biden sta usando toni durissimi verso Putin, in Europa si avverte che molti leader non li condividono. È anche lei preoccupato?
«Come vogliamo chiamare l’orrore di Bucha se non crimini di guerra? Ma capisco che termini come “genocidio” o “crimini di guerra” hanno un significato giuridico preciso. Ci sarà modo e tempo per verificare quali parole meglio si confacciano agli atti disumani dell’esercito russo. Ciò detto, dobbiamo riconoscere che nei mesi scorsi, prima e durante l’invasione, l’intelligence americana aveva le informazioni che si sono rivelate più accurate».


Lei ha parlato con Putin pochi giorni fa. Impossibile convincerlo a fermarsi?
«Nella telefonata gli ho detto che lo chiamavo per parlare di pace. Gli ho chiesto: “Quando vi vedete con Zelensky? Solo voi due potete sciogliere i nodi”. Mi ha risposto: “I tempi non sono maturi”. Ho insistito: “Decidete un cessate il fuoco”. Ancora “No: i tempi non sono maturi”. Dopo di che mi ha spiegato tutto sul pagamento del gas in rubli, che allora non era ancora stato introdotto. Ci siamo salutati con l’impegno di risentirci entro pochi giorni. Poi è arrivato l’orrore di Bucha. Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo. Io ho sempre difeso Macron e continuo a sostenere che come presidente di turno della Ue faccia bene a tentare ogni possibile strada di dialogo. Ma ho l’impressione che l’orrore della guerra con le sue carneficine, con quello che hanno fatto ai bambini e alle donne, sia completamente indipendente dalle parole e dalle telefonate che si fanno».

Sulle sanzioni al gas vinceranno, come in passato, i singoli interessi nazionali?
«Finora c’è stata grande unità in Europa e in Occidente, e questa è un’altra delle cose inattese: certamente Putin non si aspettava l’unità della Nato e dell’Unione Europea. Tra l’essere soddisfatti per la determinazione e l’unità che si sono mostrate finora e l’essere preoccupati per il futuro io penso che debba prevalere il primo aspetto. Guardando avanti, la proposta italiana di un tetto al prezzo del gas russo sta guadagnando consensi e sarà discussa al prossimo Consiglio europeo sulla base di un documento generale preparato dalla Commissione. L’Europa compra più di metà del gas esportato dalla Russia. Il potere di mercato che l’Unione Europea ha nei confronti di Mosca è un’arma da usare. Un tetto al prezzo del gas riduce il finanziamento che diamo ogni giorno alla Russia».

Non c’è il rischio che le sanzioni facciano più danno a chi le ha imposte?
«La Commissione europea e tutti gli alleati sono convinti dell’efficacia delle sanzioni . I russi stessi lo ammettono quando dicono che non riescono più a pagare le obbligazioni in scadenza perché una parte significativa delle loro riserve valutarie sono congelate. Questo vuol dire che stanno andando verso la bancarotta. Ora ci stiamo chiedendo se dobbiamo fare di più: l’Europa continua a finanziare la Russia acquistando petrolio e gas, tra l’altro ad un prezzo che non ha alcuna relazione con valori storici e costi di produzione. Imporre un tetto al prezzo del gas russo, come proposto dall’Italia, è un modo per rafforzare le sanzioni e al tempo stesso minimizzare i costi per noi che le imponiamo. Non vogliamo più dipendere dal gas russo, perché la dipendenza economica non deve diventare sudditanza politica. Per farlo, bisogna diversificare le fonti di energia e trovare nuovi fornitori. Sono appena stato in Algeria dove l’Eni ha stretto un accordo per la fornitura di 9 miliardi di metri cubi di gas naturale in più — circa un terzo di quanti ne importiamo dalla Russia. Seguiranno altri Paesi. La diversificazione è possibile e attuabile in tempi relativamente brevi, più brevi di quanto immaginassimo solo un mese fa».

Non dobbiamo preoccuparci per l’inverno e per il rischio di frenata della produzione industriale?
«Siamo ben posizionati. Abbiamo gas negli stoccaggi e avremo nuovo gas da altri fornitori. Se anche dovessero essere prese misure di contenimento, queste sarebbero miti. Stiamo parlando di una riduzione di 1-2 gradi delle temperature del riscaldamento e di variazioni analoghe per i condizionatori».

Non sarebbe più facile far partire gli impianti bloccati dalla burocrazia e dai veti?
«Questo è fondamentale. Il governo ha già approvato norme per sbloccare gli investimenti nelle energie rinnovabili. Ne faremo altre a breve. L’obiettivo è assicurare la massima celerità negli investimenti nelle rinnovabili. Finora l’ostacolo è stato essenzialmente di tipo burocratico e autorizzativo. Non possiamo più permetterci questi veti».

La sua frase sul dilemma tra pace e condizionatori le ha provocato molte risposte polemiche…
«Volevo mandare due messaggi che ritengo importanti. Il primo, simbolico: la pace vale dei sacrifici. Il secondo, più fattuale: il sacrificio, in questo caso, è contenuto, pari a qualche grado di temperatura in più o in meno. La pace è il valore più importante, indipendentemente dal sacrificio, ma in questo caso il sacrificio è anche piccolo».


Riuscirete a intervenire ancora per abbassare il costo delle bollette?
«Abbiamo già speso 20 miliardi ed è nostra intenzione fare di più per proteggere imprese e cittadini, soprattutto i più vulnerabili . Il nostro obiettivo economico è preservare la crescita e l’occupazione. Non siamo in recessione, ma c’è un rallentamento nei primi due trimestri di quest’anno. Molto dipenderà dall’andamento della guerra, ma proprio per questo la determinazione del governo è massima. La ricerca di approvvigionamenti di gas e di altre fonti di energia oggi è come la campagna vaccinale l’anno scorso: saremo altrettanto determinati».

Il Covid-19 è la seconda grande emergenza ancora in corso. Siamo davvero sulla via d’uscita?
«Lo dicono i numeri. Le morti e le ospedalizzazioni si sono ridotte moltissimo, perché si è ridotta l’intensità dei sintomi. Allo stesso tempo, abbiamo riaperto le scuole, l’economia è ripartita, siamo tornati alla nostra socialità. Con questo virus è molto difficile fare previsioni, ma possiamo affermare con certezza che la campagna di vaccinazione è stata un grande successo: secondo un recente studio dell’Istituto superiore di sanità la campagna vaccinale, dal suo inizio a gennaio 2022, ha evitato circa 150 mila decessi — un numero enorme. Grazie all’impegno del personale medico, della Protezione civile, dell’Esercito, di tutti i cittadini siamo passati da essere uno dei Paesi più colpiti a un esempio virtuoso di ripresa. Inoltre, se ci dovesse essere un nuovo peggioramento, siamo molto più preparati che in passato — una preparazione che è culturale e sociale, oltre che degli ospedali e delle istituzioni. Le strutture che abbiamo creato durante l’emergenza rimangono in piedi e continueremo a investire nella sanità proprio per essere pronti a qualsiasi evenienza».

La guerra ha un po’ oscurato la discussione sulla realizzazione del Piano di ripresa finanziato dall’Europa. A che punto siamo?
«Nel 2021 abbiamo realizzato tutti gli obiettivi previsti dal Pnrr . Pochi giorni fa sono arrivati i primi 21 miliardi, che si aggiungono ai quasi 25 che abbiamo ricevuto l’anno scorso. C’è stata una visita della Commissione europea sugli obiettivi di questo semestre e le sue conclusioni sono state positive. Ci sono alcune riforme che dobbiamo ancora realizzare: concorrenza, codice degli appalti, fisco e giustizia. Sul codice degli appalti, che è in commissione, mi pare che la strada sia spianata. Sarà poi il Consiglio di Stato a scrivere i decreti delegati in tempi molto rapidi — e anche questa è una buona notizia. Le altre riforme sono in Parlamento e sono ancora fiducioso che possano essere approvate tutte abbastanza rapidamente. Sulla giustizia c’è la promessa di non mettere la fiducia e vale ancora. Sulla concorrenza restano pochi nodi. Sul fisco, l’atmosfera con il centrodestra, nell’incontro che abbiamo avuto, mi è sembrata positiva. Il centrodestra voleva confermare il sostegno al governo e da parte del governo si voleva ribadire che c’è qualche margine di trattativa, anche se gli elementi caratterizzanti della riforma restano. Ovviamente qualsiasi modifica dovrà andare bene anche al centrosinistra».

Nelle prossime settimane il Parlamento voterà la legge delega sul fisco e quella sulla giustizia. Reggerà la sua maggioranza?
«Sì, come ha dimostrato al Senato la scorsa settimana il voto sulla riforma della giustizia. Sono riforme necessarie e di buon senso. Le norme sulla concorrenza sono parte degli impegni presi con il Pnrr. Hanno lo scopo di rendere più semplice la vita dei cittadini e di abbassare i prezzi, per esempio di alcuni medicinali. La delega fiscale è uno strumento di lotta all’evasione e alle diseguaglianze e non aumenta le tasse — anzi, il contrario. La parte già attuata in legge di bilancio, con la revisione delle aliquote dell’Irpef, ha ridotto le tasse di circa 8 miliardi. Le norme sul catasto aggiornano valori degli immobili che riflettono i prezzi di molti decenni fa e faranno emergere tutti gli immobili abusivi. Come ho detto più volte, questi aggiornamenti non cambieranno le tasse sulla casa oggi pagate dai cittadini che le pagano».

Le molte dissociazioni di Salvini, Conte, Renzi. I distinguo degli altri partiti. Questa strana maggioranza sembra una camicia di forza per i partiti.
«Sarà pure una camicia di forza, ma quello che abbiamo realizzato insieme è moltissimo. Penso sia meglio concentrare l’analisi politica su ciò che è stato fatto e ciò che occorrerà fare. Il mio messaggio ai partiti è questo: non sentitevi in una gabbia, progettate il futuro con ottimismo e fiducia non con antagonismo e avversità. Guardate ai successi che avete ottenuto in una situazione molto difficile. Ci sono tutte le ragioni per essere fiduciosi. Lo stesso incoraggiamento rivolgo anche a tutti gli italiani».

Non teme che le continue fibrillazioni e le contrapposizioni possano portare al voto anticipato?
«Il governo è a disposizione delle forze politiche per consolidare l’unità nazionale, per fare ciò che è bene per le famiglie e per le imprese. Non serve preoccuparsi. L’occhio del governo è fisso su quello che c’è da fare, su tutto quello che può permettere a questa coalizione di raggiungere i suoi obiettivi».

Sa che circola una voce insistente che lei non ne possa più, sia stanco delle liti nella maggioranza e possa dire addio?
«Non sono stanco e non ho alcuna intenzione del genere. Ho però l’intenzione di governare, affrontare le emergenze secondo il mandato che il presidente della Repubblica mi ha dato lo scorso febbraio. Questo è decisivo. Non bisogna governare per il potere fine a sé stesso. Tra l’altro, chi lo fa perde potere. Bisogna governare per fare le cose che servono all’Italia».

Mi sembra che lei abbia stabilito con un buon rapporto con la leader dell’opposizione Giorgia Meloni, soprattutto nella vicenda della guerra?
«Un rapporto rispettoso, consapevole che in alcuni passaggi fondamentali l’opposizione si è schierata con il resto del Parlamento. Allo stesso tempo, sono anche consapevole delle diversità che ci sono e della franchezza che è necessaria sempre. La franchezza fa parte del rispetto».

Dove si immagina il prossimo anno alla fine di questa esperienza?
«Non l’ho proprio immaginato, non è nel mio carattere».

Continuano però a proporle molti ruoli...
«Come ho già detto quel giorno in conferenza stampa? È escluso. E poi ho aggiunto: “Chiaro?”».

Quando era alla guida della Bce era più facile trovare il pulsante per risolvere un problema?
«No, il pulsante nemmeno lì si trovava facilmente. Anche in quel caso la situazione era molto complessa, e le decisioni erano comunque di un collettivo. Qui i fronti sono però di una varietà straordinaria e il numero delle sfide è maggiore. È tutto un altro lavoro, dove però l’esperienza che ho acquisito in passato aiuta tanto».

Alla Banca centrale mancava completamente il rapporto con la gente, un rimprovero che si fa spesso ai supertecnici.
«Quando ho la possibilità di girare per l’Italia, e intendo continuare a farlo nei prossimi mesi, incontro tante persone che mi incoraggiano. Il rapporto con i cittadini è l’aspetto migliore di questo lavoro — è molto bello, confortante, affettuoso».

All’inizio si diceva…
«Sì, che ero distante. Non so, ora ho la sensazione di esserlo meno e io stesso ne ricavo gran conforto».

Dall’emergenza del Covid-19 alla guerra. Il momento più difficile di questi quindici mesi?
«L’inizio. La situazione alla fine di febbraio dello scorso anno era davvero preoccupante. Mi sosteneva la consapevolezza che se non fosse stato così non ci sarebbe stato di un governo di unità nazionale, guidato da un primo ministro esterno alla politica. Ma questo posto è per una persona scelta dagli italiani. Bisognerebbe che i presidenti del Consiglio fossero tutti eletti. Queste sono situazioni d’emergenza, è bene essere consapevoli che sono situazioni particolari».

Le piacerebbe essere eletto?
«No. È estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza. Ho molto rispetto per chi si impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore».

17 aprile 2022 (modifica il 17 aprile 2022 | 19:57)